Didattica

La relazione del canto in cerchio e la comunicazione

Cosa mi piace del cantare in cerchio?

La comunicazione è quella vibrazione che ti porta un po’ fuori e ti mette un po’ dentro.

il cerchio e il cantoBuongiorno, sono una logopedista e vedo la potenza del canto ovunque.

L’aspetto più appassionante del mio lavoro? La sfida quotidiana nell’entrare in relazione e favorire la comunicazione tra l’individuo e il mondo esterno. Spesso tra un individuo con grosse difficoltà e un mondo esterno che pone diverse barriere.

La potenza del canto

l’ho utilizzata per poter entrare in relazione con una bambina sindromica, gravemente compromessa dal punto di vista cognitivo e comportamentale. Ascoltavamo insieme un brano e cantavamo un po’, guardandoci negli occhi, senza chiedere nulla l’una all’altra, solo di essere lì in quel momento. Lì stipulavamo il nostro contratto terapeutico, senza dircelo, era chiaro: io mettevo la canzone che piaceva a lei, che poi piaceva anche a me in realtà, e poi potevamo iniziare a lavorare sulle paroline tanto difficili;

l’ho vista la potenza del canto con un bambino sordo, con impianto cocleare, un sistema che serve a rimappare i suoni dell’ambiente a livello neuronale e percettivo. Prima deve individuare i suoni interessanti e rilevanti dell’ambiente e poi codificarli per permettere la comprensione delle parole associandole ai loro significati. Mi ricordo durante il corso di laurea, cantava spesso la nostra tutor;

o durante una seduta di rieducazione della balbuzie. Pensavo di essermi guadagnata la loop station per giocarci solo io, invece l’ho portata in studio quando ho capito che al mio piccolo paziente di 7 anni piaceva la musica elettronica. Mi ha disegnato noi due che cantavamo col microfono, un disegno bellissimo, pieno di gioia e gratitudine. Abbiamo lavorato sul ritmo, sulla gestione dei tempi, sull’ascolto e sulla percezione di fluidità dell’aria che trasporta la voce, sulla libertà di sbagliare, sulla possibilità di esprimere quello che si vuole.

mi è stata chiara durante un trattamento di una muta vocale paradossa. Con un ragazzino bello cresciuto che non accettava la sua voce cambiata. Gli piaceva cantare, ho scoperto. E abbiamo fatto karaoke insieme, ci siamo registrati e riascoltati. Prima e seconda voce, sottile e limpida la mia, profonda e calda la sua. Non ha potuto più evitare di amarla, quella sua voce nuova, di cui prima aveva tanta paura.

e poi nella stimolazione dei prerequisiti del linguaggio verbale, in un gruppo di bimbi 0-3 anni e relativi genitori. Perché in cerchio, con i giochi fonici ripetuti e associati a oggetti target i bambini iniziavano a sperimentare la lallazione, stimolati dalla visione dell’altro e dalla partecipazione di tutti. Il canto stimola la turnazione, l’attenzione condivisa, la prosodia e la coordinazione.

lo vedo quasi tutti i giorni, il potere del canto e della sua spontaneità, con le persone colpite da un ictus, gravemente afasiche e terribilmente spaventate dall’impossibilità di pianificare qualsiasi parola. A volte cantiamo per far emergere le prime parole, sfruttiamo la dissociazione automatico-volontaria che permette il recupero di stringhe verbali apprese e conosciute a memoria. Poi da lì si parte con un duro e lungo lavoro di recupero della comprensione e produzione del linguaggio, orale e scritto.

una volta addirittura con un paziente oncologico, che ne aveva superate tante ma era molto debilitato e aveva smesso di suonare. Un giorno qualcuno gli ha portato la chitarra in ospedale e quando la suonava per i suoi compagni di camera, anche i medici e gli infermieri accorrevano, si affacciavano alla porta e cantavano con tanta emozione.

Non ho parlato nello specifico di metodi, ma c’è il LSVT, lo Zora Drezancic, il Verbo-tonale, il MIT e altri, che sono stati studiati e standardizzati e che fanno parte del bagaglio di conoscenze di noi logopedisti.

E poi un giorno ho visto un cerchio

il cerchio una scoperta

formato da tante persone, anche molto diverse tra loro, che non si conoscevano prima. Ogni sezione cantava una parte, che si intrecciava ad altre parti e creava una polifonia, una composizione corale basata sull’improvvisazione di un facilitatore, al centro, che li teneva insieme e partiva da loro, dalla loro energia, per dare una struttura, una vibrazione ordinata al tutto. Come in uno spettrogramma, ho pensato, il suono prodotto dalle corde vocali sarebbe rumore se non venisse organizzato in formanti, grazie al passaggio e al contatto con i risuonatori, che sono elementi fisici come i nostri corpi nello spazio del cerchio.

Mentre cantavo con loro il mio corpo e la mia mente venivano sovrastimolati da tutto quello che sentivo e anche da quello che conoscevo grazie alla mia professione. Ho pensato subito a tanti concetti e principi della riabilitazione logopedica: l’attenzione selettiva e la memoria di lavoro, la gestione dell’intensità vocale in rapporto all’insieme e la coordinazione pneumofonica. la coarticolazione favorita dalla prosodia e dalla ripetitività degli stimoli, che favorisce l’apprendimento. E così, forte e chiaro, ho iniziato a pensare che il circlesinging abbia una potenzialità addirittura superiore, per certi aspetti, a quella del canto.

Buongiorno, sono una logopedista e non so suonare. Ma da poco prendo lezioni di canto, che ad un certo punto mi sembrava una cosa da fare, e da un po’ ho iniziato a pensare che il circlesinging possa dare contributi interessanti alla mia professione. Forse anche perché i termini cerchio e facilitatore mi sono sempre piaciuti tantissimo.

E li sento profondamente parte di me, come Giulia e come logopedista


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